La variazione che conta. Intervista a Erika Rovini, cofondatrice di CoAImed

Ha da poco compiuto un anno la startup con cui parliamo oggi: CoAImed, tra le finaliste del premio 2031 e vincitrice del percorso di incubazione messo in palio dal Polo Tecnologico nell’ambito di questo premio.
Fondata da ricercatori che sviluppano applicazioni biomedicali per la diagnosi e il monitoraggio di malattie neurodegenerative, CoAImed sta mettendo a punto WEARnCARE, un sistema che aiuta i neurologi a valutare i sintomi motori della malattia di Parkinson.
Abbiamo intervistato Erika Rovini, una delle sue fondatrici. Ecco cosa ci ha raccontato Erika della loro #vitadastartupper.

Erika, presentaci brevemente CoAImed
CoAImed è una startup innovativa che fornisce soluzioni tecnologiche per applicazioni in campo biomedicale basate soprattutto sulla sensoristica e sull’intelligenza artificiale.

Come si compone il vostro team?
La startup è costituita da 4 soci. Le quota rosa siamo io – ingegnere biomedico con dottorato in Biorobotica, ora ricopro il ruolo di tecnologo nel dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Firenze – e Laura Fiorini, anche lei ingegnere biomedico con dottorato in Biorobotica e ricercatrice dell’Università di Firenze. Il resto delle quote sono Filippo Cavallo, professore di Robotica Medica del dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Firenze, ingegnere elettronico con dottorato in Bioingegneria, e Gianmaria Mancioppi, psicologo con dottorato in Biorobotica ed attualmente assegnista di ricerca presso la Scuola Superiore Sant’Anna.
Il nostro team si è formato all’interno dell’Assistive Robotics Lab della Scuola Superiore Sant’Anna. Lavoriamo insieme da più di 10 anni e a maggio del 2021 abbiamo fondato CoAImed.

Perché avete scelto di fondare CoAImed?
La scelta è maturata negli ultimi due anni quando ci siamo resi conto che con i risultati della nostra ricerca eravamo pronti per poter provare a fare un vero e proprio trasferimento tecnologico. Lavoriamo su questa soluzione dal 2011 investigando tutte le malattie in cui c’è una forte connessione tra declino cognitivo e declino motorio. Con la strumentazione e gli algoritmi che abbiamo sviluppato possiamo riuscire a misurare piccole variazioni motorie che segnalano un declino cognitivo.

In che cosa consiste la vostra soluzione?
Grazie a un sistema di sensori indossabili e algoritmi di intelligenza artificiale, la nostra soluzione interviene in tre fasi: in fase di diagnosi precoce consente di identificare cambiamenti minimi a livello di risposta motoria in persone che rischiano di sviluppare la malattia, accendendo quindi un campanello di allarme; in fase diagnostica supporta il medico nel misurare in modo oggettivo i comportamenti motori dei pazienti: ad oggi gli esercizi motori che il paziente fa durante la visita neurologica sono valutati visivamente dal neurologo che attribuisce un punteggio sulla base di scale cliniche. Questo fa sì che ci sia molto margine di discrezionalità e che uno stesso paziente possa essere valutato in modo anche molto diverso. Noi possiamo aiutare il neurologo nella valutazione misurando le performance motorie dei pazienti (la velocità, l’ampiezza dei movimenti ecc…).
Inoltre, puntiamo a rendere disponibile la nostra strumentazione anche per l’automonitoraggio del paziente a casa in modo che possa essere utile soprattutto quando occorre cambiare la terapia: il paziente potrà ad esempio fare gli esercizi e misurarli a casa per due settimane; il medico riceverà i dati e potrà modificare la terapia sulla base di questi.

A che punto siete dello sviluppo di questa soluzione?
Se dovessi risponderti con un numero, ti direi che siamo in un TRL 7: abbiamo un prototipo avanzato testato su oltre 400 persone in strutture ospedaliere. Lo stiamo trasformando in un prodotto ingegnerizzando sia la parte hardware che software.

Che feedback avete avuto dai neurologi e dai pazienti che hanno testato la vostra soluzione?
Sono entusiasti. Sin dall’inizio del nostro progetto di ricerca abbiamo coinvolto neurologi e pazienti nello sviluppo della soluzione. Abbiamo infatti due brevetti a livello nazionale che sono di proprietà della Scuola Superiore Sant’Anna, di cui eravamo dipendenti, e dell’Azienda Usl Toscana nord ovest con cui abbiamo collaborato. Anche in questa fase stiamo testando la soluzione con una rete di neurologie – l’ospedale Careggi di Firenze e quello di Santa Maria Annunziata di Bagno a Ripoli, la neurologia dell’Università di Palermo, con Istituto Auxologico Italiano e con l’ospedale Bellaria di Bologna.

Nel breve termine che sfide vedi davanti a voi?
La principale sfida sarà la certificazione della nostra soluzione come dispositivo medico per poterla mettere sul mercato. È una sfida che richiede notevoli risorse finanziarie per cui, parallelamente al completamento dello sviluppo, stiamo portando avanti anche un’attività di fundraising.

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