Quando la ricerca arriva al paziente. Intervista a Relief

Oggi parliamo con tre fondatori di una startup che sviluppa uno sfintere endouretrale innovativo per il trattamento dell’incontinenza urinaria da stress: Relief.
Gioia Lucarini, Leonardo Marziale e Tommaso Mazzocchi, rispettivamente CEO, COO e CTO di Relief, ci raccontano di com’è nato e si è sviluppato il loro progetto, delle sfide e del percorso di crescita sia personale che aziendale che hanno davanti.

Come è nata Relief?
Tommaso: L’idea del dispositivo è nata nel 2012 quando, all’ultimo anno di università, ho incontrato casualmente un amico di mio padre che è urologo. Mi ha chiesto cosa stavo facendo, poiché era da tanti anni che non ci vedevamo e, quando gli ho detto che studiavo ingegneria biomedica, ha ribattuto: «Cerca di trovare una soluzione contro l’incontinenza urinaria». Da lì ho iniziato a pensare a una soluzione. Per svilupparla ho coinvolto un amico del liceo che sapeva disegnare sul CAD. Abbiamo quindi ideato una soluzione che abbiamo mostrato all’urologo. Gli è piaciuta e l’abbiamo brevettata.
Dopo la laurea magistrale alla Scuola Superiore Sant’Anna, ho proposto il progetto alla prof.ssa Arianna Menciassi e al prof. Leonardo Ricotti, professori della Scuola che lavorano all’Istituto di Biorobotica. Da lì è iniziata l’avventura accademica del progetto, con lo sviluppo dei primi prototipi e il perfezionamento dell’idea iniziale che ha portato a nuovi brevetti con la Scuola Superiore Sant’Anna e l’Inail che è stato insieme alla Fondazione Cassa Risparmio di Lucca tra i principali finanziatori del progetto accademico.
Abbiamo ottimizzato il prototipo, lo abbiamo testato per migliorarlo e portarlo sul paziente. Lavorando a questo progetto, che si chiamava Relief, abbiamo anche formato il nostro team: io in quegli anni ero assegnista di ricerca, Gioia era post-doc e la project manager del progetto, Leonardo è stato prima tesista e poi assegnista di ricerca. Nell’ambito del progetto accademico abbiamo avuto la possibilità di testare il prototipo su sei pazienti. Il risultato del test è stato molto promettente, per cui abbiamo deciso di fondare la startup.

Com’è avvenuto il passaggio per cui vi siete detti «ora è il momento di fondare la nostra azienda»?
Gioia: All’inizio è stato quasi per gioco. Spinti dall’Ufficio Valorizzazione e Ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna, abbiamo deciso di partecipare alle competizioni che favoriscono il trasferimento tecnologico come la Start Cup Toscana. Visto che i risultati del progetto erano buoni e il prodotto avanzato, ci siamo messi in gioco e abbiamo iniziato a vincere tutte le competizioni, per cui ci siamo detti «Ma forse questo prodotto è veramente interessante!».
Io nel frattempo avevo vinto anche una posizione in Francia in ambito accademico e ho dovuto fare una scelta: ho deciso di rimanere in Italia con Relief, perché anche se la ricerca mi piace, difficilmente il lavoro accademico arriva negli ospedali a contatto col paziente. Come ti raccontava Tommaso, abbiamo fatto un primo studio pilota nell’ambito di questo progetto: il fatto che un gruppo di ricerca riuscisse ad arrivare al paziente è stato un evento unico in Italia. Successivamente abbiamo addirittura fatto, come Relief, un secondo studio pilota su altri 10 pazienti terminato questo agosto. E ora che finalmente abbiamo potuto vedere le facce dei pazienti soddisfatti, questo ci ha dato la spinta per andare avanti.

In cosa consiste il dispositivo?
Tommaso: Il dispositivo sviluppato da Relief cerca di migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di incontinenza urinaria, un disturbo particolarmente impattante nella vita quotidiana e altamente invalidante per la persona, soprattutto a livello psicologico e sulle donne.
Ad oggi sul mercato non ci sono soluzioni che puntano a risolvere questo problema in modo trasversale, sia per gli uomini che per le donne, e poco invasivo.
Il nostro è un dispositivo endouretrale, viene quindi inserito tramite l’orifizio naturale da dove esce l’urina con un’apposita strumentazione che si può trovare in tutti gli ambulatori degli urologi. Tramite questa strumentazione è possibile quindi inserire questo dispositivo all’interno dell’uretra e posizionarlo all’attacco tra la vescica e l’uretra. Il dispositivo è cilindrico con due protuberanze. La parte alta si va a collocare alla base della vescica. La restante parte cilindrica viene posta all’interno dell’uretra, mentre le due protuberanze servono a far sì che il dispositivo non migri e sia quindi stabile. All’interno c’è una valvola polimerica che si apre solamente in una direzione, dalla vescica verso l’esterno, tramite un controllo da parte del paziente permettendo così la minzione.

Quante sono e chi sono le persone affette da incontinenza urinaria che potrebbero beneficiare dell’uso del vostro dispositivo?
Gioia: I numeri sono molto elevati: soffrono di incontinenza urinaria più di 500 milioni di persone nel mondo, e di incontinenza da stress, che è quella che trattiamo noi, 166 milioni. Si tratta di una patologia diffusa soprattutto nelle donne, con un rapporto di 1 su 3, mentre negli uomini il rapporto è 1 su 8. La fascia di età più interessata è quella che va dai 45 agli 85 anni.

A che punto siete dello sviluppo della vostra startup?
Gioia: Abbiamo testato con molto successo il dispositivo con due studi pilota: un primo studio pilota ci ha permesso di ottimizzare il design dandoci spunti interessanti e un secondo studio pilota in collaborazione con tre centri clinici si è concluso ad agosto.
Seguirà tutta la parte di strategia regolatoria in base anche agli investimenti che riusciremo ad avere. Abbiamo avuto un aumento di capitale nell’aprile 2021 con Santex, abbiamo quindi un partner industriale nel nostro board che sta facendo questo percorso imprenditoriale con noi. Ora dobbiamo correre sulla parte regolatoria. Il go-to-market è previsto nel 2027.

Qual è stata la maggiore opportunità e anche la maggiore difficoltà che avete avuto dall’avvio della startup finora?
Tommaso: Una buona opportunità è stata l’aver avuto la possibilità di testare il dispositivo sul paziente e avere la percezione di poter aiutare queste persone a migliorare la loro qualità di vita.

Gioia: Esatto, gli occhi di queste persone che hanno notevolmente migliorato la propria qualità di vita. Il Ministero della Salute ci ha approvato lo studio per tre mesi. I pazienti si trovavano talmente bene che dopo 3 mesi non volevano più togliere il dispositivo, quindi abbiamo dovuto far mandare una lettera dagli avvocati per spiegare che, se non l’avessero tolto, se ne sarebbero assunti la responsabilità. È stato difficile per noi vedere il paziente felice e dire di no.

Leonardo: Un’altra opportunità che ci ha permesso di sviluppare il progetto è stato il finanziamento che abbiamo ricevuto da Santex, il nostro investitore, che è stato fondamentale poiché ci ha permesso di condurre i primi studi clinici.

Tommaso: Riguardo alle difficoltà, oltre al reperimento di capitali, che è comune a tutte le startup, direi anche il cambio di mentalità. Siamo passati da un mondo, quello della ricerca, in cui puoi sognare in grande, al mondo della produzione e della commercializzazione del prodotto, retto da molti vincoli come gli obblighi di certificazione e di comunicazione ufficiali al Ministero della Salute e ai comitati etici che servono a garantire e proteggere la salute del paziente.
Tutto questo è molto complesso e richiede un cambiamento di mentalità.

Leonardo: Richiede anche di tornare a studiare materie che all’università non abbiamo studiato.
Trasformando il progetto in azienda si affrontano tantissimi aspetti nuovi: la parte legale, la parte brevettuale, la parte regolatoria, la parte di fabbricazione, la parte di qualità, la parte relativa al prodotto. Si diventa molto più multidisciplinari studiando continuamente cose nuove. È un percorso di crescita sia a livello aziendale che personale.

Quali sfide vedete davanti a voi nel breve termine?
Leonardo: La prima sfida è quella della ricerca di capitali, un tema costante per tutte le startup. Da qui a due anni ci aspetta l’attività preclinica regolatoria e poi l’organizzazione della validazione clinica su un gruppo di pazienti molto più ampio, sia in Europa che negli Stati Uniti.

Tommaso: E cercare di sbagliare il meno possibile. Si presentano a noi sempre nuovi quesiti e nuove possibili strade da intraprendere, ogni strada può comportare la preclusione della possibilità di percorrere altre strade in parallelo, quindi di volta in volta bisogna scegliere senza avere Google Maps, sperando di avere la fortuna di beccare le strade giuste e arrivare il prima possibile nel posto in cui vogliamo arrivare.

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