#vitadastartupper Se credi nel tuo progetto, prepara il pitch. Intervista a Luca Finocchiaro fondatore di Oimmei

Uno dei momenti più ambiti e allo stesso tempo temuti dagli startupper è quello del pitch davanti a una platea di investitori: pochi minuti – a volte persino secondi – per presentare la propria idea di business e convincere potenziali investitori o clienti.
In quest’intervista Luca Finocchiaro ci racconta la sua esperienza al riguardo.
Insieme a altri 3 soci ha dato vita a Oimmei Digital Boutique, una startup di sarti digitali. No, non producono capi di abbigliamento, almeno non per il momento, ma creano esperienze digitali personalizzate e uniche, mettendo in primo piano gli utenti.

Ecco cosa ci ha raccontato Luca della sua #vitadastartupper.

 

Presentati in 20 parole
Sono Luca, uno dei quattro fondatori di Oimmei Digital Boutique. Sono un informatico. Dal 2015, anno in cui abbiamo fondato Oimmei, ho imparato a essere anche un imprenditore.

Cosa ti ha spinto a fondare la tua startup?
Due fattori fondamentali e un evento propulsore.
I fattori fondamentali sono stati da una parte una vocina interiore che mi diceva «siamo bravi, possiamo fare la differenza nel nostro campo», dall’altra esperienze lavorative poco soddisfacenti nelle quali non potevo sviluppare appieno e vedere concretizzata la mia passione.

E poi c’è stato un evento propulsore: nel 2014 con i miei attuali soci, anche loro informatici con cui ci conosciamo dai tempi dell’università e in un caso persino dai banchi della scuola elementare, abbiamo partecipato a Hack4Pisa!, un hackathon organizzato proprio qui al Polo Tecnologico di Navacchio da Hyperborea in collaborazione con il Polo Tecnologico e Europeana.
A quel tempo la nostra startup non c’era ancora, collaboravamo insieme da circa un anno come liberi professionisti e la gestione di quattro partite IVA si era rivelata parecchio complicata.

Abbiamo vinto l’hackathon e ciò ci ha consentito di andare a Manchester per partecipare alla conferenza FutureEverything e presentare il prodotto che avevamo sviluppato: un’applicazione che usa i dati di Europeana e la tecnologia beacon in modo innovativo per allertare l’utente della presenza di un monumento o di un’opera di particolare interesse storico-culturale nelle sue vicinanze offrendo informazioni di approfondimento. Grazie all’esperienza a Manchester e alla risonanza che ha avuto nella nostra città, siamo entrati in contatto con nuovi clienti sia italiani che esteri. È stato in quel momento che abbiamo deciso di fare il grande passo e costituire la nostra startup.

Tutti e quattro volevamo creare qualcosa di nuovo e farlo nella nostra città, Livorno. Per questo abbiamo deciso di chiamarci Oimmei. Quest’interiezione tanto usata in Toscana sintetizza bene il radicamento sul territorio, il non prendersi troppo sul serio, ma anche lo stato di insofferenza morale che ti spinge a fare cose nuove.

Raccontaci la cosa più sorprendente che ti è capitata da quando hai iniziato a pensare all’idea di fondare la tua startup
La cosa più sorprendente e anche più gratificante è stato il riscontro positivo che abbiamo avuto a partire da questo primo progetto. Tornati da Manchester, siamo stati contattati da un imprenditore israeliano anche lui fondatore di una startup, Muzeums, che gestisce contenuti museali. Aveva apprezzato il nostro progetto ed era interessato a averci come partner per sviluppare un progetto simile verticalizzato sui musei. Siamo diventati in pochissimo tempo il braccio tecnologico di questa startup.

Quale avventura da startupper sceglieresti di raccontare a tuo nipote?
Gli racconterei della nascita della startup, il momento più difficile e anche più cruciale, una sorta di rinascita da tecnici a imprenditori. E gli racconterei anche delle avversità incontrate durante il percorso: gli errori, le insidie, le difficoltà – dal cliente che non ti paga all’eccessiva passione per un progetto che non funziona – sono stati una vera benedizione per noi, ci hanno aiutato a diventare più scaltri, più responsabili, più abili nella scelta dei progetti da portare avanti. E poi gli direi che se sceglie una strada simile alla mia, deve essere sempre pronto a fare il suo pitch. In qualsiasi momento, in qualsiasi condizione, davanti a chiunque. L’ultima volta a noi è capitato mentre eravamo in fila per prendere un panino al prosciutto durante una conferenza a Madrid. Davanti a noi, sempre in fila, c’era un investitore italiano che ci ha sentito parlare, si è voltato verso di noi e ci ha chiesto del nostro progetto con domande incalzanti. Se credi nel tuo progetto, devi esser pronto a presentarlo in qualsiasi momento, pure davanti a un panino al prosciutto.

Guardando al futuro prossimo, qual è la sfida che vedi davanti a te?
La sfida è quella di strutturare di più il nostro assetto organizzativo, senza perdere la freschezza, la rapidità e la flessibilità che abbiamo ora, e di valorizzare ancora di più la nostra peculiarità: la capacità di realizzare progetti digitali di qualità su misura del nostro cliente.

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